I CARATTERI TIPOGRAFICI.

I graphic designer più esperti conoscono i caratteri tipografici come se fossero persone di famiglia: con questo post li presentiamo anche ai meno esperti, indicandone le caratteristiche, gli usi più comuni e qualche interessante curiosità.

Proprio come  i personaggi di un film o di una serie tv,  i caratteri tipografici hanno una personalità che si rivela non appena entrano in scena. Fra il rigore di una scritta in Helvetica e la sguaiatezza di una in Comic Sans c’è la stessa differenza che potrebbe esistere, poniamo, fra l’avvocato Harvey Specter di “Suits” e Sheldon Cooper di “The Big Bang Theory”: entrambi perfettamente funzionali al racconto di cui sono protagonisti, stonerebbero se fossero inseriti a forza in un altro racconto.
Questo per dire che non ci sono caratteri tipografici “sbagliati”, ma che ognuno ha particolarità che lo rende più o meno adatto a esprimere un contenuto specifico.

Una ricerca del new York Times ha stabilito, per esempio, che il carattere giudicato più serio dai lettori è il Baskerville e qui apriamo un’altra parentesi sulla fiction. I lettori di Umberto Eco sapranno già che Guglielmo da Baskerville è il protagonista de “Il nome della Rosa” ma, da appassionato bibliofilo, Eco ha battezzato con il nome di caratteri tipografici anche altri personaggi dei suoi romanzi: dal Garamond de “Il Pendolo di Foucault” al Braggadocio di “Numero Zero”.

È necessario però sgombrare il campo da un equivoco: spesso si tende a confondere “Carattere” con “Font”: come sanno i grafici più preparati, e come è spiegato benissimo in questo post di Grafigata (il più autorevole blog italiano dedicato alla grafica), un carattere non è che, per essere chiari, una lettera, poniamo la lettera A.

Le varie modalità con cui si può scrivere la lettera A (corsivo, bold, maiuscolo, minuscolo, con vari tipi di accento) sono invece denominate “glifi”, mentre quelli che normalmente si chiamano “caratteri” sono più propriamente chiamati “caratteri tipografici” (in inglese “Typeface”, e questo dà luogo a meno equivoci) e rappresentano l’insieme di tutti i caratteri e di tutti i glifi che hanno il medesimo stile. A complicare ancora di più le cose c’è il concetto di “font”, troppo spesso utilizzato come sinonimo ma che, invece, è soltanto il file che contiene un carattere tipografico con tutti i suoi caratteri declinati in tutti i glifi.

Parliamo, quindi di “caratteri tipografici” per cercare di scoprire come siano suddivisi. Tanto per cominciare esistono due tipologie fondamentali di caratteri, quelli con le grazie (Serif, in francese: in italiano sono anche detti “bastoni”) e quelli senza grazie (Sans Serif, ovviamente) e anche qui c’è bisogno di una spiegazione: per “grazie” si intendono gli abbellimenti delle lettere, quelli che i neofiti chiamano “I piedini” provocando un brivido nei graphic designer più schizzinosi.

I  “Serif” si possono suddividere in quattro grandi sottocategorie, che vengono indicate in ordine di comparsa storica iniziando, naturalmente da quelli “Old Style”, a loro volta suddivisi in “Veneziani” e  i successivi “Romani Antichi”, fra cui si conta anche il già citato Garamond. Uno stile meno simile alle scritte a mano, più rigoroso e ordinato, è quello dei caratteri classificati come “transizionali”: di questa famiglia fanno parte il Baskerville e il Times New Roman.

Successivamente arrivarono i caratteri “Bodoniani” che prendono il nome dal grande tipografo italiano di fine ‘700 e di cui fanno parte, ovviamente, i Bodoni e il Didot: questi caratteri tipografici vengono chiamati anche “didoniani”. Ultimi in ordine di apparizione i caratteri denominati “Egiziani”, nati all’inizio dell’800 quando dopo le conquiste napoleoniche l’Egitto era diventato di moda fra gli intellettuali europei. Snobbati dai puristi per i marcati contrasti all’interno dei singoli caratteri, divennero presto dei beniamini della nascente industria pubblicitaria che ricercava invece la platealità e il desiderio di farsi notare: fanno parte di questa famiglia i caratteri Beton, Clarendon e Memphis.

Anche i “bastoni” possono essere suddivisi in famiglie. La prima è quella dei “grotteschi” che, come si può intuire non hanno mai brillato per eleganza costruttiva e che comprendono caratteri molto usati come Franklin Gothic, New Gothic e Gill Sans. Dopo di loro arrivano i “Nuovi grotteschi”, che sistemano in modo più geometrico e pulito lo stile dei predecessori creando, fra gli altri, il font più usato in assoluto in tutto il mondo, cioè Helvetica, nato in Svizzera verso gli anni ’50 del ventesimo secolo. I “geometrici”, infine, sono ispirati a movimenti artistici come il Bauhaus e che comprendono un altro best seller dei caratteri tipografici, il Futura.

Ci sono poi gli outsider, che non appartengono a nessuna delle due famiglie. Come i “Blackletter” detti anche “gotici” che sono stati i primi a essere utilizzati: la Bibbia di Gutenberg era in caratteri gotici, per esempio. O come gli “Script” detti anche informali, e questo già dovrebbe dirla lunga su come bisognerebbe stare attenti a utilizzare in contesti formali il massimo rappresentante della categoria, il Comic Sans. Ci sono infine caratteri tipografici creati appositamente ispirandosi a mondi speciali come il Natale (il Gingerbread House, per esempio) o i film dell’orrore (Coraline Cat).Infine ci sono i set di caratteri composti esclusivamente d simboli o da emoji.

Il mondo dei caratteri tipografici, insomma, è ricco e variegato: continueremo a occuparcene in altri post, continuate a seguirci sul blog.

Sei interessato alla grafica?

Non perdere informazioni e opportunità preziose: ti teniamo aggiornato noi.

Menu