Le marche storiche dei tipografi.

LE MARCHE STORICHE DEI TIPOGRAFI.

Le marche storiche stampate sui frontespizi dei libri fin dai tempi dei primi tipografi hanno segnato il passaggio dalle insegne dei negozi ai logo, anticipando i principi del branding.

In principio erano le insegne araldiche, che riprodotte sugli scudi indicavano i casati delle famiglie nobili rendendo riconoscibili i guerrieri anche sotto le armature che ne nascondevano l’identità personale. Poi vennero le insegne delle botteghe, che nell’epoca degli artigiani e dei mercanti diventarono importantissime per far conoscere ai viaggiatori dove avrebbero potuto trovare i prodotti e i servizi di cui avevano bisogno.

L’avvento della stampa a caratteri mobili consentì di utilizzare questi segni di identità non soltanto sul luogo fisico in cui si compivano gli scambi commerciali, ma anche su strumenti di comunicazione in grado di arrivare lontano. Non è un caso infatti che il primo marchio pubblicitario sia stato realizzato nel 1479 dal tipografo inglese William Caxton per promuovere i libri stampati dal suo torchio. Molto presto tutti i tipografi europei iniziarono a seguire il suo esempio, e per rendere riconoscibili le loro produzioni rispetto a quelle dei concorrenti diedero sempre più importanza a quelli che una volta erano semplici “marchi di fabbrica”.

Un lavoro monumentale su queste vere e proprie opere d’arte all’interno di altre opere d’arte, perché questo erano quasi sempre i libri stampati dai grandi tipografi degli inizi, è stato fatto dalla studiosa Giuseppina Zappella, che per Editrice Bibliografica ha curato i due preziosi tomi “Le marche dei tipografi e degli editori europei (sec. XV-XIX)“.

Zappella ha analizzato più di 10.000 marche storiche, riproducendole e accompagnandole con descrizioni dettagliate e accurate, inserite in un apparato scientifico che aiuta a comprenderne gli stili e le differenziazioni.

Se fino a tutto il XV secolo questi segni grafici erano per lo più monogrammi con le iniziali dei tipografi o tutt’al più avevano iscrizioni e decorazioni ispirati all’araldica, la famiglia Giunti, per esempio, segnò la sua origine fiorentina apponendo il classico giglio simbolo della città sui suoi libri. Anche su quelli prodotti nella tipografia di Venezia da cui partivano i libri liturgici destinati alle chiese di tutta Europa.

I segni e le simbologie utilizzati nelle marche storiche si andarono progressivamente arricchendo e complicando. Ispirandosi spesso a un’opera fondamentale per l’epoca come la “Iconologia” di Giulio Cesare Ripa, sui marchi (o marche, come più spesso venivano chiamate) si riproducevano complesse raffigurazioni di virtù tipicamente collegate all’atto del leggere.

Questa tipologia molto complessa figurativamente viene raggruppata sotto il nome di “marche parlanti”, e a volte conteneva veri e propri messaggi in codice ai concorrenti. Pare che siano queste, per esempio, le motivazioni che spinsero Melchiorre Sessa a scegliere come marca per i suoi libri un gatto che acchiappa un topo, accompagnato dalla scritta in latino :” La compagnia dei dissimili è infida”, che volendo potrebbe ricordare il successiva, fortunato adagio pubblicitario “diffidate dalle imitazioni”.

Più sofisticato, come sempre, Aldo Manuzio: anche se ricca di significati simbolici, e in alcuni tratti quasi un rebus, la sua marca che intreccia l’agilità del delfino con l’affidabilità dell’ancora non si limita a visualizzare alla perfezione, ance se non didascalicamente il motto “Festina Lente” (affrettati lentamente) ma suggerisce la struttura triangolare dell’iniziale del nome proprio del tipografo, tanto che ottiene nei secoli il nome di “ancora aldina”.

Gli animali, le figure mitologiche, le allegorie ritratte nelle marche tipografiche (nei due libri di Giuseppina Zappella ne trovate circa 1.100 su cui sbizzarrire la vostra analisi) si accompagnano quindi a motti che ne rappresentano i valori, ponendo le basi per quella cultura che sarebbe poi diventata nel tempo la struttura del brand design.

Esempi ne abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, a partire dall’ala della nike di Samotracia diventata richiamata nel suo profilo dallo swoosh di Nike con il suo iconico slogan “Just do it” che ha la struttura di un motto.

Insomma, anche lo sviluppo di un brand caratterizzato graficamente a partire dai valori aziendali era già tutto scritto. Anzi, stampato.

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