Virginia Woolf: stampa d'autore

TIPOGRAFIA IN VIAGGIO: VIRGINIA WOOLF

La nostra serie estiva dedicata alla “tipografia in viaggio” oggi parla soprattutto di viaggi domestici, quelli che fece il torchio della scrittrice Virginia Woolf seguendola nei vari cambi di residenza suoi e del marito.

In occasione del trentatreesimo compleanno della scrittrice, il marito per placare l’ansia che veniva a Virginia mentre attendeva le copie stampate dei suoi libri, decise di farle un regalo che avrebbe cambiato la vita di entrambi.

Virginia e Leonard andarono quindi in un negozio di articoli per tipografi a Farrington Street, e lì comprarono un torchio per la stampa e alcune scatole di caratteri tipografici. La pressa venne disimballata e sistemata in salotto, riparata perché era arrivata spezzata in due e subito messa alla prova dai due aspiranti tipografi, che non erano stati ammessi ai corsi della scuola di Tipografia, riservati ai giovani apprendisti, e si trovarono quindi a dover imparare tutto da zero.

In una lettera del 1917 Virginia Woolf racconta i primi impacci di questo suo approccio alla stampa: “sistemare i caratteri è un’impresa tale che non saremo pronti per cominciare subito a stampare. Ci sono dei grandi blocchi di caratteri, che si devono separare nelle singole lettere, e nelle serie dello stesso tipo e dimensione, e poi mettere negli scomparti giusti. Ci vogliono dei secoli, specialmente quando si confondono le n e le h come ho fatto ieri (…) mi rendo conto che a voler fare i tipografi sul serio si deve rinunciare a tutto il resto”.

Fu con questi inizi avventurosi che nacque la Hogarth Press, una casa editrice tipografica fondata da Virginia Woolf e dal marito Leonard che prese il nome proprio dalla casa che aveva ospitato quell’impegnativo regalo di compleanno. I primi titoli in catalogo furono due racconti (Three Jews, scritto da Leonard e The Mark on the Wall, scritto da Virginia) raccolti in un unico volume in 150 copie, con incisioni xilografiche. Nel 1918 la Hogarth Press fu una delle moltissime case editrici che si rifiutarono di pubblicare un capolavoro come “Ulisse” di James Joyce, ufficialmente perché troppo lungo e impegnativo per la piccola casa editrice, ma pare che dietro il diniego ci fossero ragioni di opportunità  causate da alcuni passaggi scabrosi del testo, oltre che una probabile rivalità fra scrittori su cui in molti ancora stanno indagando.

Negli anni Venti il lavoro crebbe con la stampa dei primi romanzi scritti da Virginia, tra cui il celebre Gita al faro, del 1927. Fu proprio nel periodo tra i due conflitti mondiali, che l’attività dei Woolf non fu più solo un hobby e la Hogarth Press si trasformò da una realtà artigianale di stampa d’autore in una vera realtà editoriale, anche con l’ingresso dello scrittore John Lehmann che, da assistente di Leonard Woolf, divenne socio a tutti gli effetti, acquisendo la quota di Virginia nel 1938. Lehmann fece uscire dai laboratori tipografici dell’azienda una nuova generazione di poeti, tra cui Christopher Isherwood,  autore del romanzo “Addio a Berlino” da cui venne tratto il musical “Cabaret” .

La Hogarth Press ha anche svolto attività di traduzione, facendo uscire dalla sua officina autori russi come Maksim Gorkij (I ricordi su Tolstoji) e Dostoevskij ma, soprattutto l’opera omnia di Sigmund Freud (primo libro stampato L’Io e l’Es nel 1927) su commissione della International Psycho-Analytical Library.

Nel frattempo Virginia Woolf e Leonard cambiavano altre due case, sempre cercandone una che avesse lo spazio per contenere il laboratorio tipografico che ormai faceva parte della famiglia, così come la sorella di Virginia, Vanessa Bell, che realizzava tutte le sovraccoperte dei romanzi pubblicati dalla scrittrice. In quasi trent’anni di attività la Hogarth Press, ha stampato 525 titoli fino a quando nel 1946 venne acquisita dalla casa editrice Chatto & Windus.

L’avventura di Virginia Woolf con la tipografia però non finì qui: alla scrittrice e alla sua passione per la fisicità della carta e dei caratteri,  sono stati dedicati anche alcuni font, uno dei quali chiamato Dalloway in omaggio alla protagonista di una delle opera più amate dalla scrittrice diventata un’icona dell’indipendenza femminile nell’arte e nella società.

 

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