emoji

Emoji e altri simboli per comunicare con le immagini. 

Il successo globale degli emoji ha radici profonde, e un futuro da scrivere sui libri.

Oggi proseguiamo il nostro viaggio fra icone e segni grafici di culto parlando di quella che ormai, più di una moda, è diventato un vero e proprio modo di comunicare: gli emoji, cioè le faccine e le illustrazioni che per molti stanno diventando un vero e proprio linguaggio, che ha origini molto lontane.

DAI GEROGLIFICI AGLI EMOJI: UNA STORIA RACCONTATA CON I SEGNI
Quando per il vostro compleanno ricevete, nell’ordine, l’immagine di una torta, di una bottiglia di champagne, di un regalo e di una coppia che balla rispondendo con un cuore e il segno di un bacio, state utilizzando uni dei modi più attuali di comunicare, quello degli emoji. Insieme agli sticker, ormai diffusissimi e a cui avevamo dedicato un post lo scorso anno ( https://4graph.it/blog/adesivi-online-sticker/ ), questi segni stanno facendo affermare a famosi professori di linguistica che stiamo per tornare a un linguaggio verbale, dove i segni non rappresentano più i suoni, ma le parole. Un po’ come succedeva con i geroglifici egiziani e come succede ancora ora con i sistemi di “logogrammI” degli alfabeti cinesi e giapponesi. Non è un caso, quindi, che i nostri emoji siano nati proprio nell’isola del sol levante.

DAGLI EMOTICON AGLI EMOJI: TUTTO INIZIA CON LA PUNTEGGIATURA
Se i geroglifici sono gli antenati degli emoji, i loro nonni sono gli emoticon, genericamente chiamati “faccine” che a partire dagli anni novanta hanno iniziato ad accompagnare i messaggi di testo che iniziavano a diffondersi sulla rete, utilizzando i segni di interpunzione per sottolineare con che modalità fossero da intendere le parole scritte (tristezza 🙁 gioia 🙂 sarcasmo 😉 e c’era perfino chi si spingeva a regalare rose @>——- ai destinatari per cui provava amore <3 ). Una pratica che aveva anch’essa antenati nobili: dai calligrammi del poeta francese Apollinaire, che scriveva una “poesia in forma di pera” dando alla composizione tipografica la forma di una pera alla coda di topo disegnata dai caratteri tipografici in “Alice in Wonderland” fino ai consigli per esprimere le emozioni con i caratteri mobili che potete vedere nella galleria delle immagini.

DAL PAPA’ GIAPPONESE DEGLI EMOJII AL CONSORZIO UNICODE
Nel 1999 l’artista giapponese Shigetaka Kurita ha creato il primo set di veri e propri emoji per la piattaforma nipponica di telecomunicazioni Docomo. Il suo scopo era quello di offrire un modo veloce e intuitivo di comunicare, sfruttando il minor quantitativo di memoria possibile (allora la memoria era ancora un bene molto prezioso nelliITC): i suo segni erano tutti estremamente semplici, e realizzati in un spazio di soli 12 per dodici pixel. Il successo di questo linguaggio si diffuse presto in tutto il mondo, e grazie all’interessamento di Google venne codificato dal consorzio Unicode, come succedeva fino ad allora per i soli linguaggi ufficiali come il cinese e il giapponese. Da allora, ogni anno il linguaggio degli emoji si arricchisce di nuovi vocaboli: dai diversi colori della pelle alle coppie arcobaleno, dalle zanzare per rappresentare la malaria alla bandiera dei padri single.

I SIMBOLI PCS: COME DEGLI EMOJI MA PER AIUTARE A LEGGERE
Concettualmente simili agli emoji, e come questi ispirati ai linguaggi su base descrittiva e non fonetica, i pittogrammi codificati internazionalmente nel linguaggio PCS aiutano la lettura e la comunicazione di chi ha problemi permanenti o temporanei nell’affrontare i linguaggi alfabeti. I bambini dislessici e quelli che stanno imparando una nuova lingua, per esempio, trovano in questi “disegnini” un aiuto nel comprendere strutture grammaticali, imparare nuovi vocaboli e memorizzare più facilmente nuovi concetti. Fra le case editrici
italiane che utilizzano per i loro libri questi linguaggi inclusivi ricordiamo “Uovonero” che ha in catalogo fra gli altri una bellissima edizione di Biancaneve, di cui vi mettiamo una immagine nella galleria. Con la promessa che dedicheremo uno dei prossimi post alle piccole case editrici che lavorano sull’inclusività.

Foto Cover:Phototo/Shutterstock.com

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